L’antico borgo, che conserva le tracce del suo passato, si erge sul crinale di un colle da cui si domina la valle del Mavone e la media vallata del Vomano.
Da questa straordinaria posizione si ammira un panorama davvero unico che spazia dal Gran Sasso fino al mare Adriatico.
Le origini
Le origini di Basciano sono molto lontane: infatti le prime scoperte archeologiche risalgono all’età del ferro e testimoniano la presenza di insediamenti abitativi fin dal IX secolo a. C. Nella piana lungo il Mavone sono state scavate tre necropoli, che hanno restituito varie sepolture con reperti in ferro e in bronzo. Nella stessa piana, in località S. Rustico, fioriva in epoca italica e poi romana un “vicus”, importante centro commerciale situato lungo la “Via Salaria”. Dagli scavi effettuati sono venute fuori notevoli testimonianze che hanno permesso di ricostruire la struttura e la vita sociale di un tipico villaggio romano. Il “vicus” fu abbandonato intorno al VI secolo d.C, forse a causa di un incendio, come tramanda l’antica leggenda del “cane nero”. L’insediamento sulla collina di Basciano risale all’epoca longobarda, come attesta la struttura muraria della “Rocca” ed il toponimo “S. Maria de li Bulgari”, che si trova in una pergamena del XIII secolo. Nello stesso documento si ha notizia della presenza, nelle chiese di Sant’Agostino e di S. Giovanni, dei “monachi de Cornu”, provenienti cioè da S. Nicola di Monte Corno presso Isola del Gran Sasso. Va precisato che queste chiese erano dipendenti dal Monastero di Fonte Avellana e lo saranno poi da quello di Camaldoli fino al 1806. La permanenza dei monaci camaldolesi ha rappresentato per la comunità bascianese per sette lunghi secoli un elemento di progresso in campo culturale, religioso e sociale. Sul feudo di Basciano si cominciano ad avere notizie a partire dalla metà del secolo XII, quando figura tra i possedimenti di Oderisio di Collepietro, potente esponente della famiglia dei signori di Pagliara. Si assiste poi alla frammentazione del possedimento che ritroviamo, con alterne vicende, nelle mani di vari nobili: gli Orsini di Roma, Isabella di Bellante, i de Canzano, i de Insula, i de Poyet. Solo nella seconda metà del ‘300 tutte le porzioni del feudo di Basciano saranno riunite nelle mani della famiglia Acquaviva.
Un po’ di storia
Agli Acquaviva succederanno, dal 1536, i coniugi napoletani Camillo de Scorciatis e Margherita Caracciolo. “I de Scorciatis – scrive lo storico Berardo Pio – conserveranno l’utile dominio di Basciano fino alla fine del secolo XVII e vi stabiliranno la loro dimora trasformando l’antico castello, ormai inutile in funzione militare, in palazzo signorile e residenza confortevole”. Inoltre la chiesa del castello (S. Flaviano), restaurata nel 1582, ospiterà la cappella sepolcrale della famiglia baronale, mentre nella chiesa di S. Maria sarà realizzato un pregevole altare ligneo barocco, sovrastato dallo stemma di famiglia. Sul finire del secolo XVII i de Scorciatis, scossi da una pesante crisi economica, persero il feudo che, dopo essere passato nelle mani di don Ignazio de Stefano di Napoli e del barone Ludovico Cerasa, nel 1701 venne posto all’asta dalla Regia Curia ed aggiudicato al napoletano Placido Avellone. Anche questa seconda famiglia partenopea stabilì la propria dimora in Basciano e mantenne la sua cappella cimiteriale all’interno della chiesa di S. Flaviano, come testimonia una lapide sepolcrale. Gli Avellone amministrarono con cura il loro feudo badando sia alla conduzione economica dei loro beni sia alla dignità del loro ruolo. Ignazio Avellone, morto nel 1775, non avendo eredi diretti lasciò il feudo al nipote Nicola Barra Salone Caracciolo, che gli sopravvisse per soli due anni e lasciò a sua volta il feudo al figlio primogenito Placido. I Barra Salone Caracciolo furono gli ultimi signori di Basciano, di cui ebbero riconosciuto anche il titolo nobiliare: essi tuttavia mantennero la loro dimora a Napoli. Agli inizi dell’800, il paese e l’intero territorio fu teatro di lotte e ribellioni. In particolare vanno ricordati i carbonari Caraddio De Marco e Nicola Costantini. Quest’ultimo fu presente alle varie rivolte e più volte ricercato: nel 1814 a Basciano venne uccisa la sorella Rubina, mentre egli riuscì a mettersi in salvo. Partecipò anche ai moti carbonari e a quelli mazziniani del 1837, in seguito ai quali venne arrestato, finendo i suoi giorni nel manicomio criminale di Aversa. Basciano conobbe poi le amare vicende del brigantaggio post-unitario e quindi il fenomeno dell’emigrazione. L’esplosione della prima e della seconda guerra mondiale fu un’altra calamità per la popolazione, che pagò un alto contributo con il sacrificio di tanti giovani caduti, dispersi o feriti al fronte.
L’economia
Nel secondo dopoguerra il paese registrò ancora il fenomeno dell’emigrazione. Poi, dopo il 1970, grazie ad amministratori “illuminati”, cominciò un grande sviluppo economico. Nacquero allora industrie tessili e metalmeccaniche, e poi anche nel settore del legno e in quello alimentare. Questa notevole espansione in ambito industriale e artigianale, con l’apertura del casello autostradale della A24, ha reso possibile anche la nascita di imprese nel terziario e specificatamente nel settore del commercio, della ristorazione e del credito (BCC di Basciano).
Dell’incastellamento medievale non rimane molto, solo l’antico borgo con la porta d’ingresso al recinto murario detta Porta dell’Orologio o di S. Michele, che presenta un arco a tutto sesto (XIV-XV sec.); la sovrastante torre campanaria, con orologio inserito, è databile al settecento
Salendo verso la Porta Penta (oggi demolita come la Porta del Macello) si trova la chiesa di S. Flaviano, impreziosita di recente da un portale con altorilievi bronzei, incastonato nella cornice rinascimentale in travertino decorato da modanature e rosette. La facciata è in laterizio con finestre fortemente strombate e sovrastanti tre pinnacoli piramidali. Nell’ interno vi sono affreschi tardo-rinascimentali (la Crocifissione e, forse, Celestino V) e due tele cinquecentesche raffiguranti S. Flaviano e S. Rocco.
Salendo ancora si arriva al “Castello baronale”, ora abitazione privata, che conserva le vecchie cantine e i ruderi della torre di guardia. In piazza la chiesa medievale di S. Giacomo, restaurata da poco, presenta delle strutture originarie le sole finestre gotiche. Nella frazione omonima la chiesa di Sant’Agostino, la cui facciata reca lo stemma dei monaci Camaldolesi con la data 1631, conserva all’interno una pregevole tela raffigurante la Madonna con Bambino e Santi, opera seicentesca di artisti abruzzesi che operavano a Roma. Poco distante la chiesa rurale della Madonna delle Grazie del ‘600, con una originale “conocchia” della Vergine.
Infine la chiesa romanica di S. Maria a “Porto Lungo”, nella frazione omonima, è nota per gli affreschi, il soffitto maiolicato e lo splendido altare ligneo del 1646.
testo di Emilio G. Di Nicola